Facciamo chiarezza Sulle Intolleranze alimentari

“Ciò che per alcuni è cibo, per altri è veleno” così diceva Tito Lucrezio Caro, poeta e filosofo romano.

“Noi siamo quello che mangiamo”, asseriva il filosofo tedesco Feuerbach.

 

Il cibo, si sa, è un alleato di linea e benessere. Tuttavia, mangiare alimenti che non si è in grado di assimilare può dare il via ad intolleranze alimentari che, oltre a provocare la comparsa di alcuni disturbi, rallentano il metabolismo favorendo l’aumento di peso ed impedendo il dimagrimento anche se si mangia poco.

Un trend in crescita esponenziale

Nei Paesi industrializzati le allergie alimentari sono abbastanza diffuse. Ne soffrono tra i 5 e l’8% dei bambini e tra il 2 e il 4,5% degli adulti. Un numero comunque decisamente inferiore a quello delle persone che hanno problemi di intolleranze alimentari, sempre più diffuse  e che interessano un adulto su cinque.

 I dati dell’Istituto Superiore di Sanità riferiscono che il 7,5-8% dei bambini ed il 2% della popolazione adulta, soffrono di “reazioni avverse ad uno o più cibi” che si manifestano con sintomi esclusivamente gastrointestinali: dolori addominali, crampi, diarrea e vomito. Le intolleranze alimentari spesso non sono identificate poiché non è semplice collegare sintomi e cause scatenanti.

 In una recente indagine Nielsen, il 10% degli italiani dichiara di soffrire di allergie o intolleranze alimentari. La stessa indagine evidenzia come nei primi quattro mesi del 2016 i consumi di prodotti “gluten free” e di latte ad alta digeribilità o senza lattosio sono cresciuti – rispettivamente - del 30,1% e del 6,1%.

 Secondo la “Società italiana di allergologia asma e immunologia clinica” (Siaaic) circa il 25% degli italiani pensa di avere un’allergia o intolleranza alimentare, ma in realtà a soffrirne è solo il 4,5%, come appena sottolineato.

Può apparire simile all’allergia, ma in realtà è tutt’altra cosa

Le intolleranze alimentari costituiscono un fenomeno che sempre più risulta responsabile di numerose condizioni di malessere presente nella nostra popolazione.Di primo acchito l’intolleranza (o ipersensibilità) alimentare, definita ufficialmente: “reazione ad un alimento o additivo alimentare che scompare con la sua eliminazione e ricompare con la sua reintroduzione” è dovuta ad una specie di fenomeno di accumulo, come se si trattasse di un “avvelenamento” progressivo. A differenza delle allergie, le intolleranze non coinvolgono il sistema immunitario, ma – come accennato - quello metabolico.

 Infatti, l’intolleranza alimentare consiste in una reazione avversa da alimenti di tipo non allergico, cioè non scatenate dagli anticorpi. Risposte anomale che, l’organismo di persone predisposte, presenta quando entra in contatto con determinate sostanze contenute in alcuni cibi, provocando “infiammazioni da cibo”.

 Praticamente, tutti nascono “allergici”, poi diventano “tolleranti” e questo avviene con lo svezzamento, cioè con l’introduzione, poco per volta, dei diversi cibi cui ci abituiamo. Succede, poi, che - per qualche motivo - l’organismo adulto diventa intollerante verso alcuni alimenti e quando li ingerisce il suo sistema immunitario si attiva e dà il via ad una reazione infiammatoria.

 Ci sono studi che dimostrano come certi cibi stimolino i “toll like receptor 2” delle cellule dell'immunità innata (quella che risponde subito ad agenti estranei all'organismo), le quali producono sostanze infiammatorie come le citochine. Non solo: persone che lamentano disturbi legati all'assunzione di certi cibi producono una particolare sostanza chiamata “Baff” (B cell activating factor) che attiva l'infiammazione. Le sostanze infiammatorie, liberate dalle cellule immunitarie, darebbero origine ad una serie di disturbi che si possono manifestare nel tempo (per le allergie vere ai cibi, invece, i sintomi sono immediati e si presentano subito dopo l'assunzione di un particolare alimento allergizzante).

Accertarle è difficile. Molti credono di soffrirne, spesso le confondono con disturbi differenti

Come individuare le intolleranze alimentari?  In primo luogo, bisogna capire se sono davvero tali. Molto spesso è solo una forma di colite che passa con un po’ di dieta ed eliminando o riducendo per un po’ i legumi, le verdure ricche di fibre che causano movimento intestinale. Sempre più spesso, però, si tratta di reazioni psicosomatiche. Lo stress incide molto sui problemi di digestione e di assimilazione dei nutrienti, ma questo non deve diventare un processo a un determinato alimento: non è “colpa” del glutine, del lievito, del latte, dei legumi, della carne, dei pomodori…

L’importante è variare molto la dieta e tenere sotto controllo la fonte di stress, non il cibo.Mangiare sempre le stesse cose perché ci si “autodiagnostica” un’intolleranza ad una serie di alimenti espone ad un rischio correlato al fatto che ogni cibo, anche il più “sano”, è composto da centinaia di molecole, alcune delle quali “tossiche”. Si rischia così di essere sottoposti ripetutamente sempre alle stesse sostanze tossiche.Tim Spector nel libro “Il mito della dieta”, Bollati Boringhieri, 2015, ha analizzato migliaia di articoli pubblicati sulle più importanti riviste mediche internazionali e conclude che sono ben pochi i cibi certamente in grado di danneggiarci, e cioè l’alcol, a qualsiasi dose, il sale da cucina (cloruro di sodio), i cibi molto salati (cosa che invece sfugge all’attenzione dei maniaci delle diete), gli zuccheri liberi (anche quello di canna e anche quello presente nei dolci, biscotti, merendine, bibite), il colesterolo, ma solo se in eccesso (una dose moderata è utile).

 Le intolleranze alimentari non provocano quasi mai delle reazioni violente e immediate nell’organismo, ma i sintomi possono comparire anche 24 o 48 ore dopo l’assunzione dell’alimento (per questo sono meno “intercettabili”). Gli effetti di una intolleranza alimentare sull’organismo sono “effetti” di tipo subclinico, cioè non immediatamente evidenti, ma che giorno dopo giorno provocano la crescita di fatti infiammatori che determinano malattie sicuramente impegnative.

 Questi disturbi possono riguardare:

-  l'intestino (gonfiori diarrea, sindrome del colon irritabile, gastrite),

-  il sistema respiratorio (sinusiti, bronchiti, faringiti, infezioni ripetute, asma),

-  la pelle (eczema, orticaria dermatiti, psoriasi),

- il sistema nervoso (mal di testa, difficoltà di concentrazione, sindrome da   stanchezza cronica, insonnia),

- quello genito-urinario (cistiti, vaginiti, candidosi),

- quello muscolare (dolori articolari e muscolari, crampi, artrite).

 Va ricordato che la mucosa intestinale funziona come un setaccio e di solito lascia passare solo sostanze oramai sminuzzate e rese “innocue” per l’organismo. Quando le maglie del “setaccio” si allargano, possono invece passare grossi pezzi di molecole di cibo, che creano appunto la sensibilizzazione e rappresentano il primo passo verso tutti i disturbi connessi con un’intolleranza.È come se, l'introduzione di un alimento verso il quale si è intolleranti, si traducesse – come già riferito - in un lento avvelenamento dell'organismo con sintomi difficili da interpretare. “Avvelenamento” che di fatto è abbastanza “lento”, anche se l’organismo è in grado di riconoscere la presenza del nemico in modo quasi istantaneo.In pratica, l’organismo riconosce subito “il nemico”, poi per qualche giorno “lo tiene d’occhio”, cercando dove possibile di limitare i danni dipendenti dalla sua ingestione e alla fine “scoppiando” solo se l’introduzione continua, al di là delle possibilità di controllo esistenti in ciascun individuo.E l'obesità? (uno dei disturbi per il quale ci si rivolge allo specialista delle intolleranze alimentari). Anche in questo caso è l'infiammazione a provocare insulino-resistenza delle cellule: queste ultime non riescono ad utilizzare gli zuccheri, che si accumulano, quindi, sotto forma di grasso (cellulite).Ma come scoprire questa “liaison dangereuse” fra il sistema immunitario ed un particolare alimento? Con il dosaggio delle IgG, anticorpi che vengono prodotti dal sistema immunitario quando viene a contatto con l'alimento (in questo caso meglio parlare di gruppi di alimenti, per esempio: il gruppo di frumento e cereali, oppure il gruppo dei latticini) che l'organismo considera estraneo per qualche motivo. Un'alterazione di questi anticorpi segnala l'avvenuto contatto con un particolare cibo. Se questo, poi, ha dato origine a un'infiammazione, lo si può valutare con altri test, come il dosaggio di una frazione del complemento, il C3, una proteina del sistema immune.Il problema più importante, a questo punto, è l'identikit dei cibi che provocano infiammazione. Le IgG, aiutano, ma sul mercato esiste una serie di Test che hanno l’obiettivo di identificare, con metodi diversi il cibo-nemico: sono il Driatest, il Creavutest, il Biotricostest, il Vegatest, il Citotest (che approfondiremo più avanti).In base a questi Test gli specialisti suggeriscono ai pazienti la dieta. (E’ importante capire quale sia il cibo o i cibi od eventualmente gli additivi ed i conservanti alimentari che sono responsabili della reazione immunologica dell’organismo).

 Dieta che deve recuperare l' “amicizia con i cibi”, cioè la "tolleranza" verso gli alimenti e ridurre l'effetto dell'infiammazione. Gli alimenti "sospetti", verranno permessi soltanto in alcuni giorni della settimana per un certo periodo di tempo e successivamente reintrodotti anche gli altri giorni fino a recuperare un’alimentazione "normale".Le manifestazioni legate alle intolleranze alimentari sono talvolta correlate anche a forti condizioni di stress – come accennato all’inizio - che rendono l’organismo più sensibile e che possono portare a disturbi emotivi tali da indebolire ancor più l’equilibrio organico. Il problema alimentare è in questi casi solamente un elemento aggiuntivo e peggiorativo, ma non primario.Da considerare, tra i sintomi comuni di intolleranza alimentare, anche ritenzione di liquidi e disordini del peso corporeo con variazioni sia in eccesso che in difetto. Bisogna, inoltre, tener presente che un’alimentazione non corretta sia negli orari e ritmi, che nella varietà di cibi, così come una scarsa masticazione, facilitano la comparsa di un’intolleranza alimentare.Non bisogna dimenticare che alcuni sintomi come la cattiva digestione, la stanchezza o un senso di malessere generale possono anche non dipendere dalle intolleranze alimentari, ma da cause molto diverse.

 Intolleranze ed allergie

 Le differenze delle intolleranze alimentari rispetto alle allergie sono molte. Anzitutto l’organismo non forma anticorpi IgE che determinano le allergie. Inoltre, reagisce con disturbi più sfumati, spesso tardivi e legati al quantitativo che si assume. Nella maggior parte dei casi di intolleranza, poi, si può continuare a mangiare comunque l’alimento purché in piccola dose. Diverse volte l’intolleranza è transitoria e si manifesta come coda di un’infezione gastroenterica anche banale, come le gastroenteriti estive o “del viaggiatore”.

 Le allergie coinvolgono il sistema di difesa

L’allergia alimentare è una risposta anomala del sistema immunitario, che individua come “pericolose” certe molecole innocue contenute negli alimenti  - di solito proteine, dette allergeni – (o nell’ambiente) e reagisce producendo degli anticorpi specifici rivolti contro tali molecole (IgE). Quando avviene l’incontro tra l’allergene dell’alimento e le IgE, vengono liberate nel sangue varie sostanze chimiche (in particolare l’istamina) e si scatena la reazione allergica.Bastano pochi milligrammi di un alimento per scatenare reazioni. I sintomi si manifestano da pochi secondi a pochi minuti (non è detto che tutti i sintomi compaiono in una volta sola), dopo il contatto con l’alimento, di cui spesso sono sufficienti semplici tracce.Le reazioni allergiche possono essere violente, come nel caso dello shock anafilattico (che può risultare fatale) e dell’edema della glottide (gonfiore della laringe), o determinare reazioni come prurito, bruciore o secchezza del cavo orale; gonfiore di lingua e labbra, orticaria, asma, difficoltà respiratoria, vomito, nausea, diarrea, vertigini ed anche svenimento.Le più frequenti allergie alimentari sono quelle alle proteine del latte, alle uova, ai crostacei, alla soia, alla frutta a guscio ed alle arachidi, al sedano. A volte una reazione allergica impone un ricorso al Pronto Soccorso. Il medico si potrà avvalere per la diagnosi di una serie di Test: Prick test (test cutaneo), Prick by prick, Rast (esame ematochimico su un campione di sangue), Patch test, Test di scatenamento, Test della dieta di esclusione.L’allergologia classica definisce alcuni Test (RAST, Prick, eccetera) che sono validi per l’identificazione delle allergie alimentari, ma sono assolutamente inadatti alla diagnosi dell’intolleranza alimentare perché poco precisi e hanno un margine di errore. Per questo motivo è necessario essere cauti prima di consigliare al paziente restrizioni alimentari che spesso complicano non poco la vita e che possono rivelarsi anche del tutto inutili.

Le intolleranze hanno diverse cause

 A differenza delle allergie, dove abbiamo una reazione immediata, nel caso delle intolleranze alimentari (l’incapacità del nostro corpo di digerire ed assimilare alcuni componenti dei cibi), l’aggressione non viene considerata come pericolo immediato, ma la reazione è lenta ed, inizialmente, dose-dipendente. Questo spiega anche il perché le intolleranze si sviluppano nei confronti degli alimenti assunti più frequentemente.La reazione infiammatoria è un processo attivato dal sistema immunitario che stimolerà attraverso i linfociti, una reazione generalizzata nell’organismo. Questo meccanismo sta alla base del motivo per cui i sintomi di un’intolleranza alimentare possono coinvolgere organi ed apparati lontani dall’intestino. L’intolleranza può essere causa di rallentamento del metabolismo con conseguente aumento di peso e ritenzione idrica, perché il corpo non è in grado di assimilare in modo adeguato certi alimenti e sostanze.Le risposte anomale cui si è accennato vengono prodotte con meccanismi di vario tipo, fondamentalmente sono tre i meccanismi che portano alle intolleranze.Nel primo caso, l’intestino non ha (o ha perso transitoriamente) l’enzima che serve a digerire un certo alimento. Si parla allora di intolleranza enzimatica. La più frequente è il deficit dell’enzima lattasi che determina l’intolleranza al lattosio, una delle problematiche più diffuse.Nel secondo caso, l’organismo è più sensibile del dovuto a determinate molecole contenute nei cibi, che hanno un effetto farmacologico. Per esempio: l’istamina dei pomodori e del vino rosso, oppure la tiramina del cioccolato e dei formaggi stagionati, infine la serotonina delle banane e delle noci. Si tratta, quindi, di intolleranza farmacologica.Nel terzo caso, l’intolleranza compare quando un alimento risulta irritante sulla mucosa intestinale e la danneggia al punto da renderla incapace di svolgere la sua funzione, cioè di assorbire i nutrienti. Queste intolleranze sono le più serie perché generano le “sindromi da malassorbimento”. Le più frequenti sono quelle causate da una complessa reazione immunologica provocata dal glutine (celiachia) e al fruttosio. In questi casi l’alimento non deve essere consumato.

 LE MALATTIE DA INTOLLERANZA

 Affezioni cutanee

Con questo termine si intende un’infiammazione della pelle, qualunque sia la causa che la determina. Si intende cioè quell’insieme di manifestazioni che comprendono svariate forme di dermatite: orticaria, eczemi, acne, psoriasi angio edema, dermografismo, prurito diffuso. La percentuale di risoluzione per queste patologie oscilla dal 60 al 70%; la psoriasi risulta essere del 55%. I gruppi di cibi che più frequentemente determinano questo tipo di patologie sono: latte, olivo, solanacee e grano. Per l’acne, i cibi implicati sono: maiale, latte, uova.

Cefalee

Il mal di testa è un disturbo molto comune. Molte persone ne soffrono soltanto occasionalmente, ma altre in modo frequente e ripetitivo. Il dolore può essere diffuso e colpire tutto il capo (cefalea) o soltanto la metà destra o sinistra (emicrania). Nevralgie del trigemino, cefalea di Horton, cefalea a grappolo, cefalea vasomotoria, quelle più note. Le crisi cefatalgiche, se si accompagnano o sono precedute da alcuni sintomi quali fotofobia, inappetenza, gastralgie, vomito, diuresi profusa, sonnolenza, torpore mentale, hanno un’eziologia più probabile di tipo intolleranza alimentare. I cibi che più frequentemente determinano questa patologia sono il grano, il latte ed il caffè.

 Celiachia 

In Italia sono 5.000 i nuovi casi all’anno. Non esiste ancora una cura. Chi ne soffre deve stare attento alla dieta.

La celiachia è una malattia digestiva di origine genetica ed è, nella grande maggioranza dei casi, sottostimata. Secondo le ultime stime dell’Istituto Superiore di Sanità (ISS) in Italia ben il 70% dei pazienti risulta non diagnosticato e soprattutto non trattato. In totale i connazionali interessati dal disturbo sono circa 600.000 e ogni anno le nuove diagnosi effettuate sono 5.000. La patologia si scatena quando si mangiano alimenti ricchi di glutine. Si tratta di una famiglia di proteine, di cui la più comune è la gliadina, contenute nel grano, nell’orzo e in tanti altri cereali. Questa sostanza è quindi presente nella maggior parte dei prodotti da forno. L’apparato gastro-intestinale di un celiaco non è in grado di digerirla e assorbirla. La reazione genera un’infiammazione cronica, danneggia i tessuti dell’intestino tenue e pian piano porta alla scomparsa dei villi intestinali. Ad oggi non esistono ancora cure efficaci e quindi chi ne soffre deve stare alla larga dal glutine. La proteina è presente in diversi cibi: pane, pasta, biscotti, pizza, cereali per la prima colazione, vari tipi di dolciumi. Un cereale che può essere tranquillamente mangiato è invece il riso integrale germogliato. Da questo alimento è possibile ricavare un formaggio vegetale cremoso senza nessuna traccia di glutine. Un celiaco può consumare liberamente anche mais, grano saraceno, uova, latte fresco o fermentato e tutti i tipi di carne e pesce. La dieta deve essere così ripartita: 55%, delle calorie deve provenire da carboidrati di origine vegetale (cereali, legumi, tuberi, ortaggi e frutta). I grassi totali (condimenti e grassi presenti negli alimenti di origine animale) non devono superare il 30% dell’apporto calorico giornaliero. Il rimanente 15% del fabbisogno energetico deve essere coperto dalle proteine.
 

Disordini endocrini

Amenorrea, dismenorrea, iperprolattinemia, ipotiroidismo, iperglicemia, i disturbi. I gruppi che più frequentemente determinano questo tipo di patologie sono: latte, grano ed uova.

 Disordini neurologici

Depressione, irascibilità, crisi di collera immotivata, astenia mentale o torpore, crisi di panico, iperattività, i fenomeni tipici. I gruppi di cibi che possono determinare questo tipo di patologie sono: grano, latte, olivo.

 Disturbi vascolari

Tachicardia, angina cardiaca, vaso-spasmi periferici, ipertensione, edemi inferiori, i “disturbi”. I cibi che determinano il problema sono il caffè ed il grano.

 Epilessia

Le intolleranze alimentari possono provocare problemi di infertilità

 L’intolleranza alimentare può causare una diminuzione delle probabilità di impianto dell’embrione, aborti ricorrenti e ritardo di crescita intrauterina. L’assunzione di cibi non tollerati provoca un’infiammazione cronica e quindi una risposta immunologica esagerata che può essere dannosa per la maturazione degli ovuli. Inoltre, una problematica di malassorbimento, anche se non percepito dalla paziente, può portare ad un deficit di vitamina D e K, di ferro, acido folico ed altri oligoelementi essenziali all’organogenesi del feto.

Possono anche danneggiare le ovaie e portare ad una menopausa precoce. Non va inoltre sottovalutata l’importanza delle intolleranze nell’infertilità maschile: uno studio su uomini con celiachia ha mostrato che metà di loro presentava ipogonadismo e parametri spermatici al di sotto della norma, fattori che comportano un aumento dei problemi di infertilità.

 Si stima che nei Paesi occidentali oltre il 50% della popolazione abbia una qualche intolleranza alimentare, ma che meno del 20% ne sia consapevole. Questo perché i sintomi possono essere molteplici. Non tutte le persone che soffrono di intolleranze alimentari presentano i sintomi più comuni: dolori addominali e sintomi intestinali.Da una verifica è emerso che nelle coppie dove veniva riscontrata un’infertilità idiopatica, quindi senza cause apparenti, ben l’8% delle donne risultava affetta da celiachia senza però manifestare alcun sintomo classico di intolleranza. Individuare la presenza di geni indice di “intolleranze” è quindi importante per intraprendere il giusto percorso verso una gravidanza.

 Per scoprirle basta un test

Una delle tecniche più affidabili per identificare le intolleranze alimentari è il “Citotest” (è necessario un prelievo di sangue), che si basa sulla valutazione  al microscopio dell’integrità della  membrana dei globuli bianchi messi a contatto con gli alimenti sospetti opportunamente preparati. Così i “colpevoli” dovranno essere temporaneamente eliminati dalla dieta, per poi essere reinseriti dopo qualche mese con la frequenza e le modalità  suggerite dal nutrizionista.  Questo metodo, inserito in un corretto percorso diagnostico, può essere utile per confermare o individuare l’alimento responsabile.

Diversamente dalle allergie, altri Test a cui ricorrere per la diagnosi delle intolleranze sono pochi: il Test respiratorio 2H per la diagnosi dell’intolleranza al lattosio e al fruttosio (“Breach Test”), il Test genetico e la ricerca degli anticorpi trasglutaminasi per l’intolleranza al glutine. Funzionano anche il Test della dieta di esclusione ed il Test di scatenamento.Gli specialisti diffidano dei cosiddetti Test “alternativi” perché spesso danno risultati diversi. Occorre poi fare attenzione anche ai Test di intolleranza proposti da farmacie ed erboristerie, perché non sempre i risultati sono affidabili.

 Il gonfiore della pancia è un segnale

Molte persone sono convinte di essere “intolleranti” perché rilevano un maggior gonfiore addominale dopo aver mangiato alcuni alimenti.

 la pancia gonfia (o “meteorismo gastroenterico”) dopo aver mangiato, però, nel 99% dei casi non è un sintomo di intolleranza: è un problema esclusivamente estetico imposto negli ultimi decenni da un’attenzione accentuata alla forma fisica e dal mito della “pancia piatta”. Va anche considerato che ci sono alimenti che causano gonfiore a chiunque, come i legumi e le brassicacee (verze e cavolfiori), che scatenano fenomeni normalissimi di fermentazione.

L’abitudine di chiudere il pasto con la frutta può aumentare il gonfiore intestinale senza che vi sia un’intolleranza: mangiata a stomaco vuoto, come spuntino, passerebbe rapidamente nell’intestino, senza fermentare.La digestione lenta non c’entraAlcune abitudini e certe sostanze possono determinare una digestione lenta, ma non hanno nulla a che fare con le intolleranze.Per esempio, mangiare verdure in quantità, oppure utilizzare i dolcificanti con desinenza in “olo” (come xititolo, sorbitolo, maltitolo) possono provocare gonfiori, ma solo per la fermentazione ad opera dei batteri. In generale, va ricordato che è naturale avere tempi di digestione più lunghi con certi cibi.

 Basta riflettere sul fatto che esistono persone che digeriscono velocemente l’anguria, il cetriolo, il peperone ed altre che impiegano più tempo ed avvertono più gonfiore. Questo non significa, però, avere un’intolleranza alimentare.Possono far ingrassare

 Tante persone prendono come prova della loro intolleranza a glutine, lattosio e lievito il fatto di essere dimagriti nel momento in cui hanno smesso di mangiarli. Ma si tratta di un’illusione. E’ ovvio che togliendo dal proprio quotidiano pasta, pane, formaggi, focacce, pizze e biscotti chiunque dimagrisce, dal momento che si introducono meno calorie.

Le statistiche, inoltre, hanno dimostrato che chi decide di togliere il glutine, lattosio e lievito coglie l’occasione per ridurre in generale la quantità dei cibi, compresi quelli equivalenti “senza” o comunque tende a mangiarne in minor quantità perché sono meno graditi al gusto e più costosi. Se la sostituzione fosse fatta a parità di calorie, forse non ci sarebbe dimagrimento.

 Il colon irritabile può essere una spia

Il colon irritabile è una condizione di alterata motilità del colon con conseguenti sintomi di crampi, dolore, gonfiore, stipsi alternata a diarrea. Tra le varie cause possibili si ipotizzano anche le intolleranze alimentari; il colon irritabile migliora seguendo diete che escludono certi alimenti (spesso il latte).

 La “dieta senza” non è una prova 

La “dieta senza” punta ad eliminare alimenti contenenti glutine, lattosio e verdure, presumendo che sia diffusa l’intolleranza ad essi. Ma si tratta di una valutazione superficiale. Dato che questi alimenti sono più complicati da digerire possono dare un senso di pienezza gastrica e di distensione più prolungate, ma ciò non significa che si sia intolleranti. E’ certo che, mangiando senza glutine, lievito e latticini freschi, l’addome resta più piatto anche dopo il pasto e la digestione è più veloce: ciò non significa essere intolleranti e dovere escludere tali cibi.

 Per concludere sulle intolleranze alimentari

E’ bene ricordare che nella guarigione di un’intolleranza alimentare si può assistere ad una specie di “restringimento” del numero delle intolleranze, per cui in breve tempo possono scomparire delle reattività minori e persistere invece più a lungo le intolleranze più importanti.

 Iniziando poi una dieta corretta, l’organismo si guadagna una serie di “buoni sconto” che, in relazione anche al tipo di disturbo sofferto, consentono di fare “qualche strappo” (mangiare liberamente per brevi periodi), mentre l’organismo si avvia verso la guarigione.

 Nella guarigione di una ipersensibilità lo scopo non è quello di “eliminare il nemico” (necessario a volte solo all’inizio del trattamento), ma semplicemente di insegnare all’organismo a conviverci, graduando quindi la reintroduzione dei cibi responsabili di intolleranza.

Normalmente si arriva nel volgere di 18/24 mesi alla riassunzione libera del cibo responsabile, purché vengano lasciati uno o due giorni alla settimana di attenzione alimentare (un atteggiamento simile a quello dei “venerdì di magro” che servivano ad impedire di mangiare continuamente le stesse cose tutti i giorni).

A ciascuno il suo cibo

Un piano nutrizionale corretto mira a contrastare l’accumulo di sostanze potenzialmente responsabili di intolleranze alimentari e, quindi, di infiammazione e/o rallentamento del metabolismo, riducendo l’apporto di alimenti che contengono glutine, lattosio e nichel e puntando su carboidrati favorevoli (con indice glicemico medio-basso), proteine ad alto valore biologico e grassi buoni.

I carboidrati favorevoli

Sono una preziosa fonte di zuccheri e di energia e dovrebbero costituire circa il 50% dell’apporto quotidiano di calorie. In particolare, oltre a frutta e verdura, il piano nutrizionale proposto privilegia un paio di volte alla settimana cereali integrali e pseudocereali privi di glutine come quinoa, amaranto, grano saraceno e miglio. Naturalmente ricchi di fibre, rallentano l’assorbimento degli zuccheri e fanno sentire più sazi. Apportano anche vitamine del gruppo B, che stimolano il metabolismo, e minerali.

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